L’autoimmagine: come ci vediamo allo specchio? Dopo la stagione invernale, affrontata anche con piatti calorici in abbondanza, arriva l’estate e con essa un importante confronto psicologico e sociale: la prova costume. Come possiamo prepararci a questo evento e accettarci serenamente con quei chili di troppo?
L’estate, al momento, appare calda ed afosa. Non abbiamo avuto il tempo di smaltire le riserve accumulate nelle fredde giornate invernali passate in famiglia o con gli amici a gustare i piatti invernali ipercalorici, annaffiati da vini corposi.
Il risultato è un’adipe più o meno straripante e strabordante da pantaloni o gonne ed un giro-vita da urlo, nel senso che piange calde lacrime!
Ma le vacanze sono alle porte, i depliants turistici estivi fanno capolino ovunque proponendoci destinazioni meravigliose, ma….. come la mettiamo con i chili superflui? Occorre subito una dieta drastica, ma riuscirò a seguirla? Farà effetto?
Il costume da bagno dell’anno passato e tutto il vestiario relativo, andranno ancora bene? Soprattutto, come mi potrò relazionare con le persone che conosco?
A questa domanda i cultori delle diete dimagranti e del fitness potranno sciorinare esercizi e pratiche a volontà, più o meno intensi e drastici per ottenere il risultato voluto.
Io prendo questo spunto per andare oltre ponendomi un’ulteriore domanda: perché deve essere così “grave” affrontare un’estate con qualche chilo in più? Cosa ci può essere dietro una simile situazione? Perché questa sensazione di disagio?
L’immagine dell’io di Maxwell Maltz (Autoimmagine)
Ci può venire utile uno studio effettuato negli anni Sessanta del secolo scorso da Maxwell Maltz, un medico chirurgo plastico, che notò una curiosa anomalia a cui non sapeva dare inizialmente una spiegazione.
Bruce Willis ha dichiarato di essere fiero delle sue cicatrici: secondo Maltz, queste vengono esibite se sono il segno del coraggio e nascoste se vengono vissute come una deturpazione.
Le persone da lui operate, all’epoca prevalentemente per cicatrici al viso a seguito di incidenti, mostravano dopo l’intervento plastico due modalità di reazione: una categoria riprendeva la sicurezza di relazione che la cicatrice aveva loro negato, ma un’altra categoria, per contro, proseguiva a manifestare difficoltà col mondo circostante.
A poco valeva vedersi allo specchio e ribadire che la cicatrice non c’era più: per loro, notava Maltz, continuava ad essere presente.
Fu così che il chirurgo intuì la presenza di un’immagine dell’io, o autoimmagine, che ognuno porta dentro di sé: ciò che “crediamo e siamo convinti di essere”.
È un’immagine completa a tutto tondo che comprende anche le relazioni e che si è formata a partire dalla nascita, proseguendo per tutta l’intera esistenza.
In età infantile ed adolescenziale il cervello non offre barriere alle informazioni che provengono dall’esterno, poiché lavora prevalentemente con onde cerebrali lente: giudizi, parole, definizioni, etichette propinate dall’educazione entrano dirette nel nostro “hard disk” personale senza alcun filtro e concorrono a formare un’immagine complessiva di noi stessi.
In età più avanzata le cose si modificano, ma non più di tanto: i filtri vengono posti ma la frittata è fatta. L’autoimagine è già stata creata dentro ognuno di noi.
Un’immagine complessiva che, come si può facilmente intuire, risulta molto riduttiva rispetto alle nostre reali potenzialità poiché costruita sui giudizi altrui, spesso fuorvianti, come quando a scuola gli insegnanti comunicavano ai nostri genitori “se si applicasse di più potrebbe ottenere molti più risultati”. Quanti se lo sono sentito dire?
Nell’infanzia, i giudizi diventano etichette condizionanti
L’immagine che scaturisce risulta sia fisica che psicologica. Quando ci sentiamo dire: sei bella/brutta, alta/bassa, magra/grassa, simpatico/antipatico, intuitivo o tonto, e via dicendo, sono parole che per il giovane risultano determinanti per la definizione di sé, sono come il mondo adulto ci vede, un mondo autorevole, saggio che conosce la vita e le sue dinamiche: una verità assoluta ed inoppugnabile come sono le figure che la propongono.
Una frase che può condizionare un bambino anche da adulto: “Sei un asino. Non combinerai mai niente” (sopra, Benigni in “Pinocchio”).
Le considerazioni positive non creano disagi, mentre per le altre – la maggioranza purtroppo – al giovane non restano che due strade: accettare l’infausta etichetta, cercando nel contempo efficaci sistemi per modificare la situazione, oppure opporvisi con tutte le proprie forze, negando la verità proposta e sviluppando, assieme all’ego, una ribellione a differenti livelli.
La particolarità dell’autoimmagine è che ognuno di noi agisce e reagisce nei confronti degli altri in base a ciò che crede di essere, certamente non in base a ciò che egli è, anzi non sa neppure chi egli sia. In altre parole, le nostre reazioni saranno commisurate solo a ciò che crediamo di essere, ovvero in base all’immagine dell’io.
Se da piccoli ci misero in piedi su una sedia e ci fecero recitare una poesia davanti a tutti i parenti, cosa accadde? Non ne avevamo voglia, o ci sentimmo obbligati a far qualcosa di cui avremmo volentiri fatto a meno: come risultato facemmo una pessima figura. Forse qualcuno ci disse che eravamo timidi, magari ci credemmo.
Da allora il programma “timido” si è messo in moto automaticamente tutte le volte che ci siamo trovati davanti ad un pubblico e la cosa andava a rafforzare il pensiero di partenza. Questo è il programma installato: “Sono timido. Qui c’è della gente e vorrei andare verso di loro in modo spigliato.
Non ce la faccio. Perché? Perché sono timido”. Se sono convinto di questa particolarità, anche perché tutto il mondo circostante mi ha dato conferma di ciò, dovrò crederci senz’altro.
Il potere della suggestione
Nella cicatrice dell’esempio precedente, le due persone si comportavano in modo differente a seconda che essa fosse presente nell’immagine dell’io oppure no, a prescindere dalla presenza o meno della cicatrice.
Dunque immaginiamoci il potere che una simile procedura possiede, ma anche delle interazioni col mondo circostante qualora ci sentissimo sottoposti al giudizio altrui.
Tanto più ci accettiamo, tanto più la nostra autoimmagine si avvicina a ciò che siamo e viceversa.
Come dire: se mi vedo con dei chili superflui e questa immagine contrasta con quella che ho costruito dentro di me, ecco prender forma una tensione interiore che può sfociare in un disagio.
Dunque la cosa che va evidenziata, in questo caso, non sono i chili in più, ma come sto reagendo a questa situazione. La strada è l’accettazione, sapendo che ognuno di noi è molto meglio di ciò che ci hanno fatto credere di essere.
Non sarà qualche chilo in più a renderci meno attraenti o simpatici, purché dentro ognuno di noi si senta bene con se stesso. Poi potremmo anche procedere con diete o esercizi fisici, che avranno molta più efficacia in questo caso.
Ci sono esercizi specifici che ci permettono di lavorare con l’autoimmagine: in fase di rilassamento ci si disegna su uno schermo, creato nella nostra fantasia, come desideriamo essere sia a livello fisico che emotivo.
Più ci sentiamo partecipi dell’immagine realizzata e più crea efficacia nel nostro quotidiano. Così, giorno dopo giorno, l’immagine dell’io si modifica andando a creare un nuovo io, questa volta scelto da noi stessi.
La tecnica dell’autoimmagine ha moltissime applicazioni pratiche, sia sul lavoro che nelle relazioni verso il mondo: parole come fascino o carisma improvvisamente appaiono chiare. Siamo partiti da qualche chilo in più: un ottimo spunto per allargare i nostri orizzonti e spostare i nostri limiti sempre più lontano da noi.
Per saperne di più:
Maxwell Maltz, Psicocibernetica, ed. Astrolabio
Seminario Alfadinamica – Vivi i Tuoi Sogni
Articolo originale di Franco Bianchi per Karmanews